Il presidente della Figc Carlo Tavecchio ne ha sparata un’altra delle sue: vuole vietare gli striscioni allo stadio. Una nuova norma che, come tutte le altre che riguardano gli stadi (anche se non solo quelli), troverebbe un’applicazione a soggetto. In una città il divieto verrebbe fatto osservare in un’altra no. Esattamente come per tamburi, petardi, megafoni, bandiere, fumogeni. Non c’è niente di peggio che mettere regole che nessuno sa far rispettare. Fra l’altro gli striscioni, rispetto a tutto il resto, hanno un vantaggio: si leggono chiaramente (sono fatti apposta) e vengono sostenuti da persone ben identificabili. Già le norme attuali (con l’esame preventivo dei testi) mi sembrano in violazione dei più elementari diritti di espressione. Naturalmente chi sostiene uno striscione deve rispondere del contenuto. Se ci sono frasi razziste, tipo quella a suo tempo pronunciata dal presidente Tavecchio, o se il testo sconfina nel penale (con il quale il presidente Tavecchio ha discreta confidenza) sarà la magistratura a chiamare in causa i colpevoli.
Ma in tutti gli altri casi, perché privare il pubblico di un elemento pittoresco di espressione, usato tranquillamente nei cortei e nelle manifestazioni di piazza e celebrato (purtroppo sempre più raramente) per creatività ed ironia? A beneficio del pregiudicato Tavecchio ricordo l’articolo 21 della nostra Costituzione: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. E l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere. Datano entrambe 1948, sono trascorsi molti anni ma non per questo si possono dimenticare.